Quando ho iniziato a lavorare il mio strumento era una macchina da scrivere. Una Olivetti Studio 44 verde, pesante e rumorosa.
Il copia e incolla era un miraggio e per cancellare dovevo pensarci bene e poi schiacciare delle ics su quel testo che moriva all’istante e forse non sarebbe più risorto, se non dopo travagliati e inopportuni ripensamenti.
Oggi scrivo sulla funzione note del mio smartphone. Lo faccio a casa, sul divano, in cucina, mentre mangio, quando ho bisogno di prendere appunti oppure ho un’idea.
Scrivo testi lunghi, brevi, scrivo mail, faccio post, bozze, articoli, comunicati. Scrivo, cancello, conservo, scelgo le parole, le elimino, il correttore le analizza, le sposto, le rimetto dove stavano.
Sono passati forse poco più di 20 anni da quel periodo in cui la mia Olivetti era il centro del mio mondo lavorativo e consumavo carta, tanta carta, appallottolando esausta i testi anneriti da un cimitero di ics per poi ricominciare da un foglio bianco. Quasi a resettare il cervello.
Finivo di scrivere e dal telefono di casa dettavo il mio pezzo. Virgole e punti compresi. Lo facevo dopo aver preso contatto con i dimafonisti, quelle speciali figure, inquadrate come poligrafici, operativi nelle redazioni dei giornali dagli anni 50 fino ai 90, che registravano i pezzi dei collaboratori per poi trascriverli e renderli disponibili per essere revisionati e impaginati dai redattori.
Oggi per chi lavora per una redazione è possibile inserire i pezzi direttamente nel portale dedicato, oppure mandare il testo via mail, in un secondo.
A ripensarci ora, per tutti la comunicazione ha avuto un’evoluzione così rapida che nemmeno ci ricordiamo più la prima mail che abbiamo mandato o il primo sms.
I più giovani la macchina da scrivere la guardano come noi possiamo guardare il telegrafo di Marconi.
Eppure allora non pensavo minimamente a come si sarebbe evoluto il modo di comunicare. Anzi non lo immaginavo possibile.
Il sistema di cui ero circondata mi sembrava l’unica grande risorsa a disposizione.
Un’idea che, invece, hanno avuto altri nel mondo, certamente più illuminati, riuscendo a creare ciò che è servito per produrre, passo dopo passo, il cambiamento che ci ha portato fin qui.
Oggi tutto è possibile.
Ma quello che rende la storia ancora più affascinante è che la comunicazione è talmente open source che lavorare in questo ambito nel 2020 significa vivere con la consapevolezza che il futuro possiamo viverlo nell’istante stesso in cui lo nominiamo.
“Non futuristi ma adessisti” disse nel 2014 con una felice intuizione Jo Ito, responsabile del MIT Media Lab e la sua storia racconta di un cambiamento avvenuto per esigenza. Trovare la soluzione ad un problema è stato facile, è bastato riunire le persone su internet e dare vita a qualcosa che non esisteva prima.
La necessità ha spinto l’uomo a creare la ruota 6000 anni fa, la necessità ha dato vita alle più importanti scoperte avvenute sul pianeta.
Nel 2013 l’Atlantic chiese a un gruppo di dodici scienziati, imprenditori, ingegneri e storici della tecnologia di elencare le “innovazioni che hanno contribuito di più a dar forma alla natura della vita moderna”.
Al primo posto è stata messa la stampa a caratteri mobili. La comunicazione al centro di tutto.
Eppure c’è stato un momento, molti secoli prima, alcuni millenni prima, che forse ha segnato in maniera ancora più netta questo cambiamento.
L’illuminazione è arrivata solo qualche tempo fa, durante una lezione di Glottologia all’Università di Sassari.
Non vi farò una replica della seppur interessantissima dissertazione del prof. Lupinu su un argomento molto più attuale di quanto possa sembrare ma, in estrema sintesi, ciò che ci ha consentito davvero di arrivare fin qui, prima della stampa, prima di internet, prima della macchina da scrivere e degli smartphone, è quel principio definito “del rebus” che consiste nell’associare parole a segni che assomigliano a queste parole nel suono.
Il principio del rebus rappresenta il momento di passaggio più significativo tra il passato e il futuro, una di quelle invenzioni che avrebbe cambiato le sorti di tutti noi, sia quelli che di comunicazione hanno fatto un lavoro e sia quelli che oggi vivono (e comunicano) sui social.
Quindi tutti.
Di sicuro non ci avete mai pensato ma ogni volta che vi mettete nei panni di un enigmista e risolvete un rebus, sul divano di casa o sul lettino del mare sotto l’ombrellone, state compiendo un lunghissimo salto nel passato ripercorrendo a ritroso la storia della scrittura e, dunque, della comunicazione.
Ma in cosa consiste questa straordinaria invenzione?
In realtà nemmeno io ci avevo mai pensato. Amo i rebus, sono tra le prime cose che cerco nelle riviste dedicate, la più celebre delle quali (e diciamo pure la più amata) è quella nata nel 1932 per intuizione di un sardo di sangue blu trasferito a Milano, il conte Giorgio Sisini.
La storia sta tutta nei più antichi testi scritti, quelli che contenevano pittogrammi utilizzati come mezzo di comunicazione: tanti segni, tante parole. E questo, è evidente, era anche il loro limite.
Immaginate di dover scrivere una frase e cambiare ogni parola con un disegno. Un caos difficilmente comprensibile e soprattutto poco pratico.
Tutto cambiò quando a questi segni iniziò ad associarsi un suono. Ed è proprio questo passaggio, fondamentale per gli sviluppi successivi, che porterà alla nascita della scrittura moderna. A noi, oggi.
La sagoma di un pesce, dal suono “nar”, e quella di uno scalpello, dal suono “mer”, sono stati il sistema di comunicazione utilizzato per indicare il nome del faraone racchiuso nella parola Narmer. Questo è stato il primo rebus della storia dell’umanità.
“Adessisti” di 5000 anni fa.
L’adesso per tutti noi è Design Lab. Siamo nati per fare comunicazione, con tutti i mezzi a disposizione e con le esperienze che ognuno di noi si porta dietro.
Creiamo connessioni con un mondo che cambia velocemente e in modi impensabili fino a poco tempo fa.
L’art director era sulla scaletta di un’ aereo diretto a Parigi quando ci ha inviato la sua idea per un logo.
Quando è atterrato l’avevamo già discussa con gli altri e il grafico le aveva dato forma.
Ho scritto testi ferma al rosso di un semaforo, perché in quel momento, osservando fuori dal finestrino, mi sono venute in mente le cose che volevo raccontare.
Abbiamo realizzato nuovi brand, creato canali di comunicazione con le persone, studiato strategie per far arrivare un messaggio prima solo immaginato dal cliente.
Vedere realizzate le idee, dare sostanza alla forma, creare mondi nuovi attorno ai quali far crescere i sogni delle persone è il motivo per cui siamo nati e per il quale continuiamo a studiare, imparare, conoscere.
Crediamo nel nostro mestiere, lo prendiamo sul serio, siamo curiosi e ci piace ascoltare, davvero, le persone che si rivolgono a noi.
Design Lab nasce soprattutto perché amiamo ogni forma di creatività e amiamo le opportunità, rese possibili dal nostro qui e ora, di declinarla in ambiti diversi di comunicazione.
Ogni percorso ha avuto un inizio. Il nostro inizio è stato attorno al tavolo di un bar, tra un caffè e una birra, a raccontarci delle nostre passioni. Ci siamo piaciuti e ora siamo qui. A risolvere rebus, interpretare i desideri della gente e crescere con loro.
Non ci accontenteremo mai della mediocrità, questo è certo. Perché è troppo bello il nostro lavoro e siamo fortunati a vivere in questo tempo affascinante, in cui le immagini hanno suoni, nascono parole nuove ogni giorno, si può sognare qualsiasi cosa e renderla possibile, adesso.